Giuseppe Barone
Lo spazio del colore 9-13 maggio 2022
Biblioteca Moby Dick Garbatella
Via Edgardo Ferrati, 3a Roma
Il semplice colore, non viziato dal significato, e non legato ad una forma definita, può parlare all’anima in un migliaio di modi diversi. (Oscar Wilde)
…E il modo in cui Giuseppe Barone parla all’anima è quello dell’energia, la “dinamis” del greco biblico (Franco Patruno), ed è la primissima emozione che si percepisce guardando le sue opere. Catturano, rapiscono e confondono cuore e cervello e trascinano la mente nel tempo e nello spazio, si perdono i riferimenti storici e ci si ritrova nel mito antico, nella natura selvaggia, nello spirito della Terra.
“Il colore dilaga sulla tela più con intensità che con densità e viene quasi a travolgere le immagini nel momento stesso in cui le struttura. Si ha così la sensazione di un impianto assolutamente organizzato, si direbbe programmato in ogni suo particolare, fin quasi nelle preziose velature, e nel contempo frutto di un dipingere in completa libertà, guidato soltanto da un’interna e travolgente emozione”. (Lucio Barbera).
“Ma il sentimento non basta a fare arte, poesia o pittura che sia. “La poesia non si fa col sentimento, si fa con le parole” scrive Valéry. E la pittura si fa con i colori, i segni, gli spazi; in una parola, con la forma. Forma estetica, si intende; che è sentimento sublimato, decantato dal pathos più greve, innalzato a pura, ideale visione. (Elvio Natali)
Con l’ampia gestualità e la sapienza del colore e delle forme, che inevitabilmente traboccano oltre i confini fisici, l’artista ricerca e sconfigge la morte, portando se stesso e lo spettatore verso l’eternità. Ecco il paesaggio di Giuseppe Barone, pittore con un segno che si impenna scattoso, che cade e risale, che percorre la superficie tersa della tela come graffendo una materia durissima, con un segno elegante, educato allo studio della tecnica calcografica, immaginando chiari e scuri per farli poi vibrare di luce e di materia.
Il maestro Barone opera la trasfigurazione del reale della natura in paesaggio dell’anima fino alla interiorizzazione più completa che salda nello sguardo la dimensione dell’anima e lo spazio del mondo in quell’emozione che ci rende partecipi del dialogo dell’origine, quando l’uomo nell’innocenza dei sensi, parlava con Dio, dava nome agli animali e conosceva ogni linguaggio di piante e stelle. Il segno diviene allora argine al dilagare del colore che come luce straripa dai segni delle immagini e tende ad annullarlo; l’espansione della luce proprio nella ricerca di adeguare il visibile all’invisibile nella atmosfera di incantesimo trasforma il luogo, qualsiasi luogo in luogo dell’archetipo (Elio Mercuri)
“La luce s’impenna rimbalza sulle colate incandescenti del colore a volte trapassa la materia come pasta vitrea cogliendone l’intimo splendore o affiora dal fondo opaco come scintilla lo ravviva di un bagliore improvviso nella drammatica incertezza dell’oggi, nello scontro definitivo
di ideologie, di interessi particolari e di destini planetari, può la pittura essere segno, testimone attivo nella complessa dinamica del presente? (Paola Ballerini).
Nella mostra all’Hub culturale Moby Dick a Roma l’artista intende utilizzare lo spazio espositivo per creare un’opportunità di coinvolgimento attivo nei confronti del pubblico attraverso la costruzione di un’unica partitura di cui ogni opera è al contempo frammento e unità.
Il tema di queste opere mira ad illustrare un flusso visivo, fatto di forme e colori che congiunge le due realtà più geologicamente distanti fra loro; il mare e la montagna. Facendo prima emergere lo spettatore da un abisso, per accompagnarlo attraverso forme e gradazioni di colori solo all’apparenza casuali, per infine farlo spuntare lieve come un’isola che sboccia, che si scrolla di dosso il peso della gravità e si impone conquistando lo spazio.